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CESAR VALDIVIESO, FASHION EDITOR E RAGAZZO PADRE (MA DI UNA RIVISTA)
YOU BY CHIARA LINO
Cesar Valdivieso ha fatto lo stylist, l'art director, il fashion editor. Nato a Lima, in Perù, venticinque anni fa, è uno di quelli che se glielo chiedi sono capaci di dirti che hanno iniziato per gioco. Lui, ad esempio, l'ha fatto: amante del linguaggio, dell'espressione, aspirante poeta e scrittore, passa dallo studio delle lingue all'improvvisa, giocosa idea di disegnare una collezione di abiti uomo e donna. Il collegamento tra poetica della parola e poetica della moda potrebbe non risultare così immediato, ma basta sentirlo parlare per capire che non solo non intende lasciar fuori dal suo lavoro attuale niente del suo background, ma anche che, a 25 anni, ha già un'idea precisa di come il mondo creativo deve far comunicare ogni suo aspetto, trovando un piano comune per linguaggi diversi.
Il suo ultimo progetto è Drew, rivista-bandiera bilingue dell'Associazione Internazionale Designer Emergenti (AIDE), che cerca modalità espressive nuove per dare spazio ai fashion designer più talentuosi e, come spesso accade, meno conosciuti.
Drew è il tuo ultimo progetto da fashion editor. Ci dai tre aggettivi che lo descrivono, e una cosa di te stesso che emerge dal magazine?
Direi Sintomatico: è sicuramente la prima cosa che mi viene in mente pensando alla nascita di DREW. Da parecchio tempo si constatava l'assenza di una piattaforma editoriale che potesse dar voce ad artisti emergenti che, nonostante il talento, si trovavano davanti a diverse difficoltà. Così quando AIDE (Associazione Internazionale Designer Emergenti) mi ha proposto di lavorare ad un concetto di questo genere, per me è stato come avere una conferma, la conferma. Credo fermamente che rappresenti le nuove esigenze sia del mercato sia dei clienti finali.
Minimale: perché segue una linea editoriale molto pulita attraverso pochi elementi che accompagnano il lettore, lasciando spazio agli argomenti e dando respiro ai contenuti fotografici. Volevamo fare dei passi indietro e cercare quell'essenzialità un po' sottovalutata, cercando anche di far capire come un lavoro apparentemente semplice non lo sia affatto.
Immediato: la prima regola che ho imparato nel mondo del giornalismo (può sembrare banale ma è assolutamente vera) è che, quando scriviamo qualcosa, lo facciamo perché vogliamo essere letti, altrimenti tanto vale non scrivere affatto. Proprio per questo motivo ho voluto impostare l'intero magazine con una struttura che vede noi dello staff soprattutto come clienti, come lettori. Puntiamo molto sulla chiarezza per rendere accessibile i temi che, come mezzo di comunicazione, vogliamo divulgare.
Direi Sintomatico: è sicuramente la prima cosa che mi viene in mente pensando alla nascita di DREW. Da parecchio tempo si constatava l'assenza di una piattaforma editoriale che potesse dar voce ad artisti emergenti che, nonostante il talento, si trovavano davanti a diverse difficoltà. Così quando AIDE (Associazione Internazionale Designer Emergenti) mi ha proposto di lavorare ad un concetto di questo genere, per me è stato come avere una conferma, la conferma. Credo fermamente che rappresenti le nuove esigenze sia del mercato sia dei clienti finali.
Minimale: perché segue una linea editoriale molto pulita attraverso pochi elementi che accompagnano il lettore, lasciando spazio agli argomenti e dando respiro ai contenuti fotografici. Volevamo fare dei passi indietro e cercare quell'essenzialità un po' sottovalutata, cercando anche di far capire come un lavoro apparentemente semplice non lo sia affatto.
Immediato: la prima regola che ho imparato nel mondo del giornalismo (può sembrare banale ma è assolutamente vera) è che, quando scriviamo qualcosa, lo facciamo perché vogliamo essere letti, altrimenti tanto vale non scrivere affatto. Proprio per questo motivo ho voluto impostare l'intero magazine con una struttura che vede noi dello staff soprattutto come clienti, come lettori. Puntiamo molto sulla chiarezza per rendere accessibile i temi che, come mezzo di comunicazione, vogliamo divulgare.
Mi piace pensare che questa rivista abbia la linearità che ricerco nella mia vita quotidiana. Quella coerenza a volte difficile ma necessaria per essere precisi ed avere un rigore constante, soprattutto quando si parla del proprio lavoro.
Quando e perché hai deciso di trasferirti a Milano?
Mi sono trasferito 6 anni fa. Milano sicuramente ha sempre esercitato quell’ovvio fascino da big city. Devo riconoscere che, per questione di carattere, ho proprio bisogno di una città carica di stimoli e (perché no, diciamolo) di caos. Milano è sicuramente una città da capire, con tutte le sue sfaccettature per lo più nascoste. Grigia e caotica, mi ha sempre dato materiale su cui lavorare.
Mi sono trasferito 6 anni fa. Milano sicuramente ha sempre esercitato quell’ovvio fascino da big city. Devo riconoscere che, per questione di carattere, ho proprio bisogno di una città carica di stimoli e (perché no, diciamolo) di caos. Milano è sicuramente una città da capire, con tutte le sue sfaccettature per lo più nascoste. Grigia e caotica, mi ha sempre dato materiale su cui lavorare.
I luoghi, gli ambienti, sono una fonte di ispirazione e importantissimi per carburare il processo creativo. In questo senso Milano è stata importante per te? Continua a esserlo allo stesso modo o sogni già nuove destinazioni?
Questa città ha segnato molto la mia carriera e sicuramente mi ha portato su una strada, in certo senso, prevedibile per me. Vivere qui non può non darti spunti interessanti per quanto riguarda, ad esempio, le novità dei trend riflessi in una generazione molto attenta ai cambiamenti odierni. Quello che mi piace di più è vedere una città che cerca di raggiungere il livello di alcune capitali europee e che, nonostante sia molto attaccata ad alcuni vecchi establishment, riuscirà a cambiare davvero solo attraverso la nuova intraprendenza portata dai giovani. Perché è nella trasformazione che senti di far parte di qualcosa.
Questa città ha segnato molto la mia carriera e sicuramente mi ha portato su una strada, in certo senso, prevedibile per me. Vivere qui non può non darti spunti interessanti per quanto riguarda, ad esempio, le novità dei trend riflessi in una generazione molto attenta ai cambiamenti odierni. Quello che mi piace di più è vedere una città che cerca di raggiungere il livello di alcune capitali europee e che, nonostante sia molto attaccata ad alcuni vecchi establishment, riuscirà a cambiare davvero solo attraverso la nuova intraprendenza portata dai giovani. Perché è nella trasformazione che senti di far parte di qualcosa.
Alla fine per un creativo il proprio progetto è un po' come un figlio. Immagina che Drew sia una persona, con un carattere, un futuro, frutto della tua fatica. Ciò a cui vuoi trasmettere ciò che sei e ciò che sai. Cosa vorresti dirgli?
Questa è una domanda interessante perché in effetti uno dei tre motivi della scelta del nome “drew”, è proprio la caratteristica di essere anche un nome proprio. Quindi a parte pensare ai due corrispondenti significati come quello che “disegnare sta a designer” e “rappresentare sta ad AIDE (editore)”... DREW è davvero il nostro bambino. È stato pensato, voluto e credimi, sofferto, per via delle mille difficoltà che si trovano quando vuoi iniziare qualcosa che si scosti dalle linee più convenzionali.
DREW ha di suo un carattere poliedrico capace di poter parlare di temi diversi con una coerenza naturale e senza sforzo. Sa di avere la possibilità di dire la sua, d'ispirarsi e di valutare concetti da più punti di vista. Vorrei che diventasse un vero punto di riferimento per chi ha qualcosa da esprimere, con un linguaggio intriso d'arte e di qualità. Vorrei dirgli e consigliargli di continuare a confrontarsi, perché non c'è modo migliore di migliorarsi. Sicuramente ci saranno delle cose da perfezionare, ma d'altronde siamo qui, per crescere con lui.
Many thanks to Chiara Lino.
Questa è una domanda interessante perché in effetti uno dei tre motivi della scelta del nome “drew”, è proprio la caratteristica di essere anche un nome proprio. Quindi a parte pensare ai due corrispondenti significati come quello che “disegnare sta a designer” e “rappresentare sta ad AIDE (editore)”... DREW è davvero il nostro bambino. È stato pensato, voluto e credimi, sofferto, per via delle mille difficoltà che si trovano quando vuoi iniziare qualcosa che si scosti dalle linee più convenzionali.
DREW ha di suo un carattere poliedrico capace di poter parlare di temi diversi con una coerenza naturale e senza sforzo. Sa di avere la possibilità di dire la sua, d'ispirarsi e di valutare concetti da più punti di vista. Vorrei che diventasse un vero punto di riferimento per chi ha qualcosa da esprimere, con un linguaggio intriso d'arte e di qualità. Vorrei dirgli e consigliargli di continuare a confrontarsi, perché non c'è modo migliore di migliorarsi. Sicuramente ci saranno delle cose da perfezionare, ma d'altronde siamo qui, per crescere con lui.
Many thanks to Chiara Lino.